Amici ma soprattutto amiche di Tipicamente, come sapete ci piace parecchio collezionare inaugurazioni di rubriche inutili, che non hanno nulla della categoria in quanto aggiornate totalmente a casaccio, senza alcuna periodicità. Perciò eccone un’altra: volevamo chiamarla “l’angolo di Fanfani” oppure “ma anche veltroniano”, abbiamo tuttavia pensato che il nostro stile di vita fosse più coerente con quello di Tony Pagoda, protagonista del romanzo di Paolo Sorrentino che battezza l’ennesimo spazio da perditempo. Cialtroni pride forever.
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Hanno tutti ragione quelli che dicono la loro sull’annata 2005 in Borgogna, versante rosso.
Ha ragione chi dice che è una vendemmia talmente esagerata da far saltare per aria buona parte degli abituali riferimenti territoriali e varietali. Che la vita è troppo breve e complicata per mettersi ad aspettare che quei vini siano veramente pronti, affidandosi ad un vero e proprio atto di fede. Oltretutto senza avere la minima idea del se e del quando arriverà questo momento. Ha ragione chi pensa che la forza quasi dittatoriale del millesimo non valga la rinuncia alla magia e al sogno che si accompagnano a raccolte più “normali”. Ha ragione chi conclude che il desiderio di perfezione strutturale, densità palatale, eterna giovinezza, può essere placato più facilmente, forse, con le annate e le interpretazioni giuste di Bordeaux e Rodano.
Ma ha altrettanto ragione chi dice che la 2005 chiede soltanto amanti pazienti e appassionati disposti ad ascoltarla, in attesa del giorno in cui aprirà finalmente il suo cuore, senza ritrosie. Che quella prepotenza violenta e brutale nasconde in realtà un animo tenero e fragile, un corpo di donna emancipata e sicura di sé in una testa di adolescente, tanto attratta quanto spaventata dal mondo là fuori. Ha ragione chi ricorda che un motivo c’è, se i vecchi di Vosne-Romanée e Gevrey-Chambertin raccontano di aver visto vendemmie simili solo nel 1934, 1947, 1959, 1961. E cioè i miti dei miti in Borgogna, i millesimi che si stappano ancora oggi nei pranzi ufficiali con capi di stato e nobili reali, come a ridicolizzare le dicerie sulla limitata longevità del pinot nero.
Più di tutti, comunque, ha ragione Giancarlo Marino. Che dopo una trentina di bottiglie targate 2012 (link), scende in cantina, torna con una bottiglia fasciata e la dà in pasto ad un branco di selvaggi, senza minimamente sorprendersi del fatto che un Monfortino ’96 possa durare il tempo di una lager all’Oktober Fest. Per cui sparisce di nuovo e non torna con le grappe e il limoncello, ma con un Romanée-St-Vivant 2005 del Domaine de la Romanée Conti.
Così, tanto per spiegarci a modo suo che:
– puoi aver bevuto per dieci ore di fila, ma quando arriva a tavola il grande vino, quello grande per davvero, la stanchezza non esiste, i sensi si resettano e l’ultima parola che si sente è: ancora.
– non tutti i 2005 sono uguali e alla fine le cose sono sempre più semplici di come ci piace raccontarle: i fuoriclasse sono fuoriclasse, punto e basta. Vivono in qualche modo fuori dal tempo e dallo spazio, non servono particolari accortezze con loro ma è sufficiente saperli riconoscere.
– è giusto e doveroso fidarsi delle proprie sensazioni e affinità elettive, ma la memoria storica è un compagno di viaggio che il più delle volte ci aiuta solo ad assecondarle al meglio, altro che zavorra.
Non ha praticamente senso maneggiare le classiche note di degustazione per raccontare un vino così. E’ Nureyev * che arriva, si mette a ballare il Bolero nel salotto di casa e se ne va. Con te che rimani lì a propendere per un’allucinazione, perché altrimenti dovresti ammettere l’esistenza degli extraterrestri. «Ora venitemi a dire che i 2005 sono algidi liquidi privi di incanto», ci sfidava quella bottiglia. Perché certe bottiglie parlano, come nei cartoni animati, e noi trogloditi ci guardiamo bene dal contraddirle.
Se siete incalliti burocrati del gusto, scegliete voi i parametri da “misurare” e barrate senza perdere tempo le caselle a fondo scala: 10 punti su 10 all’integrità, 10 su 10 alla complessità, 10 su 10 alla consistenza, 10 su 10 all’equilibrio, 10 su 10 alla bevibilità, e continuate pure come vi pare, che il risultato non cambia. Poi, però, non dimenticate di registrare quelle cose che sfuggono ad una misurazione e una descrizione. Così mi capirete, forse, se mi ritrovo a pensare che davvero hanno tutti ragione, cervello e cuore compresi, che giocano ad incasinare le mie sinapsi con continue contraddizioni.
Ci si sente morbosamente attratti e al tempo stesso respinti da esseri più o meno viventi come il Saint-Vivant 2005. E’ quello che accade anche nella vita reale, a pensarci bene. I mostri fanno esattamente questo effetto, con buona pace delle favole e della morale che ci insegue dalla prima volta che, bambini, abbiamo sfogliato La Bella e la Bestia.