Una questione solo cittadina, circoscritta, locale? Forse, ma può anche essere che il caso del Mercato Coperto di Perugia sia invece un paradigma, tra molti, di qualcosa che è successo, succede e succederà.
Qualcosa che riguarda l’architettura urbana, la definizione degli spazi vitali dei centri storici, le logiche della distribuzione e del commercio quanto quelle sociali, economiche e politiche.
Il mercato cittadino e quello rionale in antitesi agli ipermercati? La grande distribuzione organizzata che fa retriomarcia e guarda con interesse a questo modello, il ritorno del negozio “sottocasa” potrebbero far pensare a qualcosa di diverso, di più articolato e complesso di questa semplice dicotomia. Così come mercato globale – mercato locale sembra una contraddizione superata dalla pluralizzazione del termine.
Il mercato non esiste, esistono i mercati. Se ne facciano una ragione i sostenitori dell’una e dell’altra parte. I tipi di aziende, le loro dimensioni, le logiche che le guidano sono determinanti nel definire le rispettive collocazioni nell’universo commerciale e distributivo. Parlare di export e internazionalizzazione è ridicolo per moltissime relatà come determinante per altre. Pensare alla vedita di prossimità è insensato per alcuni quanto vitale per altri.
Ad ognuno il suo, una ricetta buona per tutti non esiste. Così come una città senza il suo mercato.
Il documentario
Amarcordo è un piccolo documento. Un’idea che mi frullava in testa da un po’ e che ha trovato gambe grazie all’amico Diego Parbuono, oltre che all’esperienza catalizzatrice di Umbria Grida Terra*.
Un raccoglitore di voci, di idee e di progetti provenienti da una struttura straordinaria, simbolo della vita economica e sociale di Perugia.
Dopo anni di oblio, il Mercato Coperto torna al centro del dibattito cittadino e si candida a una nuova vita. A quasi un secolo dalla sua nascita, Amarcordo è un punto sul passato, il presente e soprattutto il futuro di uno dei cuori pulsanti dell’acropoli; un sasso nello stagno, un modo per ridare voce ai protagonisti di questa storia: dai “resistenti”, i pochi banchi rimasti in un luogo praticamente abbandonato, all’esperineza colorata e innovativa di alcuni ragazzi squattrinati, passando per coloro che rivendicano il diritto di partecipare al disegno della città di domani.