In Umbria il vino non ha mai arricchito nessuno. Figuriamoci l’olio. Inveiscono gli olivicoltori virtuosi, calpestati dalle strategie globali su cui si fiondano i furbetti dell’olio a danno di un brand regionale e di quelle potenziali posizioni di mercato che non raggiungeranno mai, nonostante il pregio della loro offerta.
Se non hai peli sullo stomaco l’olio lo compri altrove, lo paghi poco, lo imbottigli, lo tappi, poi lo commerci approfittando dell’immagine dell’Umbria.
Col vino dovrebbe andare diversamente. Il marchio Umbria ha un suo valore riconosciuto nel mondo, grazie ai Lungarotti, agli Antinori, ai Barberani, agli Adanti, agli Antonelli, ai Caprai e ai tenaci pionieri, di prima e di seconda generazione. Peccato che di questo passo forse la terza non la conosceremo mai. Per aggredire il mercato globale alcuni viticoltori hanno fatto i salti mortali senza rete. Parliamo del mercato che non richiede espressività, accontentandosi di vitigni impersonali, vini impersonali, etichette e sapori impersonali.
Nel 1969 in occasione del suo primo viaggio alla ricerca dei vini genuini pubblicato con il titolo Vino al vino (e nel secondo, 1971, con lo stesso titolo) Mario Soldati saltò a piedi pari i vigneti umbri, persino quelli del grande Giorgio Lungarotti, che è tutto dire. Allora contavamo come il due di coppe mentre oggi uno spazietto nel mondo, con molta fatica, è vero, ce lo siamo ricamato.
Dobbiamo ringraziare i nostri produttori, non solo quelli che hanno messo insieme i grandi numeri (si fa per dire) ma anche i piccoli montefalchesi e i redivivi orvietani, le cui etichette si rivedono nelle carte dei ristoranti di Mosca, Londra, New York e Berlino.
Vinitaly 2014 ha segnato una piccola riscossa, una timida ripresa, dicono. L’Umbria -che piaccia o no l’operazione McCurry (a noi non ci ha fatto impazzire) – punta giustamente tutto sul suo brand, sulla sua terra, sulle sue tradizioni, sulle sue attendibili risorse. Questo è il senso giusto che si deve attribuire ad un marketing territoriale studiato per farci superare la crisi, se la supereremo.
Lo sappiamo bene che una spremuta di grechetto o di sagrantino non daranno mai, nonostante gli sforzi profusi, uno Chablis, un Sancerre, piuttosto che un Barolo o un Bordeaux. Ma dobbiamo far fruttare al massimo le potenzialità della nostra regione e non puntare su quello che essa non potrebbe mai offrirci.
Come accade per l’olio, la vigna è il luogo dove sopravvivono i valori morali e umani che il territorio è in grado di racchiudere, quando un vignaiolo degno di questo nome ne cura i filari e ne lavora i mosti e poi quando un bevitore sensibile e informato del processo che ha portato a compimento il prodotto, se lo versa nel bicchiere, il prodotto. Se no il vino è solo succo di frutta fermentato, frutto di un gesto banale, a farlo e a berlo, un’occasione sprecata.
Siparietto. Tra Narni e Orticoli spunta un contadino dal cervello fino, che a parte qualche trascorso giovanile montefalchese, con l’Umbria non ha mai avuto a che fare. Vendesi casale comprasi barca, vendesi barca comprasi azienda vinicola. Il politico di razza, Massimo D’Alema, ha capito che se non si vogliono perdere troppi soldi col vino bisogna lavorarci sodo. E ci lavorerà sodo, ne siamo sicuri. Sodo e alloctono, però, sognando – come dicevano i Dik Dik – California, nel senso di Napa Valley o al massimo, Borgogna e Bordeaux.
Che ne sappiamo noi, forse ha ragione lui, potrebbe essere una svolta, la sfida a colpi di cabernet franc, tagli bordolesi senza solfiti e bollicine a base di pinot nero. L’operazione è in attesa del giudizio dei mercati. Interpellato un esperto che di vini umbri se ne intende ci è stato risposto di assaggiarlo prima, per non fare come quei saputelli che parlano a sproposito della cucina di Gianfranco Vissani, senza essersi mai seduti alla sua tavola. Vero, come è vero che con i soldi propri ognuno ci fa quello che gli pare.
Rimane il fatto che i nostri produttori si sono svenati per far conoscere al mondo il Grechetto e il Sagrantino. Adesso chi glielo spiega agli americani che le migliori bollicine da pinot nero si producono in Umbria, McCurry?
Foto: Steve McCurry