Ogni volta che indosso la blusa a pois, ogni volta che la indosso, giuro, accade qualcosa di sgradevole.
L’ultima volta, per dire, io e il confuso che stavo frequentando ci siamo mollati. Si è messo a frignare e mi ha lasciata andare via così, su due piedi.
Sabato scorso, dopo una giornata lavorativa sfiancante, mi sono cambiata al volo prima di uscire con Manuela e farci raggiungere in un locale da un altro amico, così ho ripescato la blusa dall’armadio ma avevo fretta e ho accettato il rischio.
Non sapendo dove farci trovare dal nostro amico, ci siamo infilate in uno di quei bar pretenziosi alle porte della città, dove l’arredamento vuole essere così di avanguardia dal ritrovarsi già datato al momento dell’inaugurazione. Luci troppo alte, volume delle casse che proibisce una qualsivoglia forma di conversazione, impossibilità di praticare il banconismo (attività che amo molto e che mi porta ad esserne campionessa regionale) a causa della totale mancanza di sgabelli e del ripiano ingombro di ogni sorta di cibaria unta.
Io e la mia amica, dapprima siamo rimaste confuse da tutto quel troppo. Infine, rassegnate dall’impossibilità di poter colonizzare il bancone, ci siamo accomodate in un tavolino che aveva le sedie intelligentemente disposte con le spalle contro il resto della sala. E abbiamo aspettato.
Arriva la cameriera bellona del paese, e accade quanto segue:
– Alla richiesta di un bicchiere di Brut, che avevo visto in bella mostra sul palmares dei vini del bancone, ci sono stati serviti due bicchieri di un rosso della stessa cantina. Perché?, domando alla bellona. Che domande! Perché le bottiglie sono in mostra, e poi quella è una magnum. Ah, un po’ come il principio della vetrinetta nelle case delle nonne. Senza contare che, effettivamente, tra un Brut e un rosso c’è poca differenza. Soprattutto all’ora dell’aperitivo. E comunque avrei pagato, sia chiaro.
– Manuela, che è una dilettante volenterosa nel ramo dei vini, implora che assieme ai calici venga servita anche una ciotola di qualcosa che accompagni la bevuta. No, non è possibile, dice la bellona. Ma perché? Chiediamo meste e con le orecchie basse. Perché l’aperitivo prevede un accompagnamento di tartine, frittate alle ritorsioni, palline di orso mantecato, fritti all’unto. Altrimenti si paga solo la bevuta. Manuela tenta di spiegare in modo garbato che, se avessimo voluto avere delle imposizioni su come piegare le nostre volontà nel tempo libero, saremmo andate a bere in collegio. Ogni tentativo di chiarimenti è stato vano.
– Impietosita, la cameriera bellona torna con una ciotola (probabilmente appartenente al gatto del quartiere) contenente un ciuffo di patatine, e ci comunica a voce bassa e aria di rimprovero che lo ha fatto solo per noi; forse le abbiamo suscitato un vivo sentimento di pena. Per ringraziarla dal profondo del cuore le faccio presente che la iscriverò nel mio testamento per questo gesto di misericordia. Non coglie. Forse è un bene.
Una volta strozzato il bicchiere di vino, siamo scappate a gambe levate verso lidi più amichevoli. Sono fermamente convinta che se al posto della blusa avessi indossato un modesto maglione nero, tutto questo non sarebbe avvenuto.
Bartender, quando aprirete il vostro locale, date una carezza alle vostre cameriere e dite: “Questa è la carezza di Sara”.