Se vuoi imparare a nuotare, non c’è cosa migliore di qualcuno che ti butta in acqua in un punto in cui non si tocca. La sensazione di non aver altra scelta che provare è un ottimo modo per fare la cosa giusta, superare la paura e vedere di apprendere nel più breve tempo possibile la nobile arte del “galleggiamento”.
C’è sempre la possibilità di affogare, certo, ma qualcosa nella vita bisogna pur rischiare e comunque meglio scoprire subito i propri limiti…
La metafora mi viene buona per spiegare il perché e il percome di una bella degustazione, pensata dal sottoscritto e guidata magistralmente dallo Svizzero, al secolo Gianni Fabrizio, amico e collega al Gambero Rosso e conoscitore enciclopedico dei fatti vinosi del globo terracqueo.
Eravamo a Montefalco, nei giorni di Enologica34*, kermesse dedicata ai vini della zona, e c’era da testare le capacità del Sagrantino di stare in un assaggio di grandi denominazioni italiane. Anzi, in quella che potrebbe essere definita la “spina dorsale rossa” della penisola: un filotto di varietà e di vini che puntellano la mappa enoica del paese, da nord a sud, partendo da Barolo e Barbaresco, passando per Chianti Classico, Brunello e chiudendo col Taurasi. Lo so, potevamo allargare lo sguardo e ficcarci qualcos’altro, ma era una piccola ricognizione e abbiamo preferito tagliare le fette vicino all’osso.
Mettiamoci che abbiamo cercato bottiglie con qualche anno sulle spalle ed ecco a voi il mare in cui è finito il Sagrantino. Scelto in un lotto di poche bottiglie significative disponibili, va detto; dunque in una specie di meglio del meglio. Ma che ha comunque regalato buone risposte sulla vera carta da giocare della tipologia: una grande capacità di evolvere in bottiglia e di tirar fuori col tempo le cose migliori.
A parte questo, è stato un bel gioco per riflettere sulle curve evolutive di vini diversi. Non solo e non tanto per tracciare una gerarchia, né tantomeno improbabili classifiche, quanto per esplorare il “come” di certi fenomeni e le strade, aromatiche e gustative, che vini differenti prendono col passare degli anni.
Comunque, bando alle ciance, così è andata la storia:
Castello di Monsanto
Chianti Classico Il Poggio 1999
Amo questa cantina e il suo vino simbolo. Ho assaggiato più volte, e in molti casi bevuto di gusto, tante sue vecchie bottiglie. Ecco perché questo ’99 mi ha stupito. Molto, ma molto più buono che in tutte le altre occasioni in cui ne ho stappato uno. Ecco, direi che è stata la mia miglior bottiglia di Poggio 1999. Annata caratterizzata da lunghissime macerazioni, che ricordavo un filo evoluta, concentrata, tannica, e che invece ritrovo areosa, floreale, fresca e penetrante. Una delizia condita di tanti piccolo frutti rossi e da un tocco di origano.
Il Marroneto
Brunello di Montalcino 1998
Conoscevo poco o niente i vini di Alessandro Mori, fino a quando ho avuto la fortuna di partecipare ad una degustazione improvvisata e multipla di vecchie annate dei suoi Brunello. Una rivelazione! Non c’era un vino meno che molto buono; tutti ricamati su uno stile austero, classico, che forse paga qualcosina in gioventù per regalare emozioni alla lunga distanza. L’annata in questione non è certo tra le più facili per questa cantina a due passi dalle mura di Montalcino ma il vino si è difeso. Profumi di caramella, amaretto, goudron, fiori secchi e frutta matura; bocca dicotomica, un filo rigida, verticale, forse un po’ stretta ma di sicuro piacere per gli amanti del genere.
Marchesi di Gresy
Barbaresco Gaiun Martinenga 1998
Buonissimo. Potrei, dovrei fermarmi qui prima di iniziare elucubrazioni sconsiderate e logorroiche, vista la mia personalissima idiosincrasia coi nebbiolo affinati in botti piccole. Salto comunque a piè pare la questione e racconto un vino davvero in splendida forma, memorabile nei golosi profumi fruttati su cui si incuneano note minerali, di fiori secchi e anice (alla distanza, però). Bocca coerente, piena, gustosa, con una persistente nota di buccia d’arancia.
Vietti
Barolo Rocche 1999
Rocche. Barolo dal passo lento, lungo, assolutamente peculiare e spesso facilmente riconoscibile. Questo ’99 di Vietti parte maturo, con qualche sensazione di confettura, e mostra uno schema aromatico sostanzialmente monolitico, almeno nei primi minuti. Col passare del tempo si rinfresca un po’ e trova un’onda balsamica che regala qualche chiaroscuro. Bocca coerente, gustosa ma non troppo vivace. Colpa della bottiglia in questione, forse, ma questo vino non mi ha convinto del tutto.
Perillo
Taurasi 2001
Una delle prime annate di Mr. Michele Perillo da Castelfranci. Il vino fa un figurone, specialmente per un naso pazzesco, esplosivo, ricchissimo di frutta rossa, erbe di montagna e, soprattutto, pepe nero. Una meraviglia che trova continuità in un palato tosto, scuro, solo leggermente penalizzato da un finale alcolico – tannico che non ne compromette, comunque, la profondità.
Adanti
Montefalco Sagrantino 1998
Eccolo qui, l’esaminato. Il ’98 di Adanti supera la prova brillantemente e non sfigura in una batteria così interessante. Lo fa con il suo profilo classico, mai forzato, coi toni terrosi, di bacche e radici, i fiori secchi e il tabacco. Lo fa anche con una bocca che non è certo sottile ma nemmeno grassa o esagerata. Il tannino c’è, ovviamente, ma a me è sembrato in equilibrio con il resto e non è certo la prima cosa che mi viene in mente per raccontare questo splendido rosso che ha ancora tanta strada davanti.