L’analisi degli assaggi di Greco di Tufo e Fiano di Avellino 2011 ha lasciato, almeno a me, un bagaglio non certamente leggero, fatto in egual misura di punti interrogativi ed esclamativi.
Non sono stati resi pubblici gli andamenti climatici e di maturazione tecnico/fenologica, ma si sapeva che gli umori generali sull’annata non erano dei più positivi; gli assaggi condotti a campione a ridosso dell’estate facevano emergere significative difficoltà, e di certo non c'era grande ottimismo.
E’ risaputo, tuttavia, che l’estate, con i suoi caldi e gli sbalzi di temperatura (pur mitigati all’interno delle cantine) rappresenta uno step evolutivo importante: è quindi perfetta la scelta della seconda metà di novembre per iniziare a prendere concretamente le misure dell’annata.
Considerazioni a carattere generale: il primo elemento che emerge evidente è la profonda differenza tra i campioni 2009/2010 (inseriti per entrambe le tipologie in coda ad ogni batteria) e quelli dell’annata 2011; tanto piene ed appaganti al palato le prime (a tratti monumentali!) quanto sottili ed essenziali le seconde… La differenza qualitativa è immediatamente percepibile.
Difficile anche stabilire linee guida in merito alla tipicità: nella 2011 trovo preponderante, tanto per il Greco quanto per il Fiano, una importante matrice minerale, spesso integrata da un fruttato che è per lo più agrumato, piuttosto che di classici fruttati a polpa bianca o gialla, a cui le denominazioni ci avevano abituati.
Mi ritrovo a pormi domande su questa apparente ridondanza di profili minerali, fascinosi senza dubbio ma che non possono essere tanto autoreferenziali e fini a sé stessi. Un dubbio sorge spontaneo: in un’annata dal profilo climatico/ambientale come la 2011, è questa la sintesi aromatica che tali vitigni possono esprimere o magari si è voluto appena forzare la mano su quella mineralità che, forse, rappresenta un po’ la tendenza del momento, così come il tostato/vanigliato la fece da padrone negli anni ‘90?
Ad ogni modo, pur non avendo palati ricchi ed appaganti, i vini si manifestano longilinei più che esili, dotati di pregevole compostezza soprattutto nelle componenti tattili/saporifere: l’acidità, pur magari a tratti un po’ cruda, è presenza innervante, con sostegno soprattutto all’aspetto agrumato.
La sapidità non aggiunge notevole volumetria saporifera alla beva, ma spalleggia egregiamente la mineralità olfattiva; grassezza e rotondità sicuramente un po’ latitano, ma in questo spingono quasi i vini a maggior affilatura e verticalità. La componente alcolica, che nei corpi asciutti spesso tende a scappare da tutte le parti e far vita a sé, risulta generalmente già ben bilanciata ed integrata nella trama gusto-olfattiva.
Probabilmente il tempo non sarà in grado di aggiungere corpo lì dove è deficitario, ma varrà la pena di investire qualche anno per vedere l’evoluzione dei profili aromatici.
Ad ogni modo, tendo a vedere un po’ meglio i Greco dei Fiano, più che altro per l’uniformità di risultati ottenuti, in cui campioni in seria difficoltà erano quasi assenti. Tra i Fiano qualche punta di diamante ha ottenuto punteggi più alti rispetto ai migliori Greco, ma in un numero significativo di campioni s’è stentata la sufficienza. Di seguito quindi i migliori assaggi per entrambe le denominazioni.
Greco di Tufo
Le conferme:
Pietracupa: un Greco tanto gentile quanto elegante, giocato tra la frutta acerba, agrumata ed il vegetale, con soventi richiami minerali. Il palato è ben sostenuto nella beva, coerente, giocato sulla tensione acido/alcolica e la saporosità minerale che invoglia la beva.
Cantine Dell’Angelo: “frutta mia quanto t’ho desiderato”, questo sembra gridare uno tra i campioni più tipici delle batterie; non mancano le timbriche gessose firma dell’annata, ma qui sembrano a servizio del frutto. Il sorso è di conseguenza più pieno, ricco ed appagante, da mettere alla frusta nei mesi a venire.
Vadiaperti: al naso si offre in maniera piuttosto silenziosa, buccioso e vegetale, in fase quasi di chiusura, ma al palato racconta tutta un’altra storia: acidità ficcante, saporosa sapidità, alcol calibrato e suggestioni pseudotanniche che arricchiscono e sostengono il sorso. Tipico alla Vadiaperti!
Torricino Raone: il greco ritengo non abbia mai amato particolarmente il legno, quindi trovo apprezzabile che la selezione Raone lo abbia abbandonato per concentrarsi sulla sosta sui lieviti in acciaio… anche se un tocco vagamente tostato ancora ne impreziosisce il sorso. Richiami sulfurei, a tratti anche balsamici, accompagnano un sorso molto ben bilanciato.
Di Marzo Scipio: un Greco decisamente old fashioned, decisamente coerente tanto al naso quanto al palato, dove pur senza effetti speciali, riesce a convincere con la sua immediata semplicità.
Ferrara Vigna Cicogna: non sempre mi è piaciuta questa etichetta, soprattutto nelle sue versioni troppo rotonde e morbidose che mal aderivano al mio stereotipo di Greco, ma quest’anno ha conquistato tranquillamente la promozione a pieni voti. L’espressività fruttata sui toni, a tratti anche dolci, dell’albicocca si stempera su suggestioni sapido/minerali, balsamico/officinali, in una tensione gustativa che accompagna il palato con convinzione fino alla fine del sorso. Progressivo e policromo.
Le sorprese:
Non sono in genere tra le mie interpretazioni preferite, ma entrambi i Greco di Terredora sono stati quest’anno decisamente convincenti: il Loggia della Serra è molto ben giocato tra spezie dolci, nuances burrose mai prevaricanti su vene vegetali e minerali, con un sorso stimolante; nel Terre degli Angeli sentori legnosi sono appena più in evidenza, ma in fase di assorbimento nella trama gustativa gessosa e godibile.
La novità:
Vigna Guadagno: una delle ultime aziende ad affacciarsi sul panorama irpino, ma che ha dato una prova convincente sia sul Greco che sul Fiano. Il prodotto si manifesta appena un po’ troppo lavorato al naso ma con un’interessantissima materia. Da seguire.
La perplessità:
Villa Matilde: è un po’ che non riesco a farmi piacere i vini di questa azienda, soprattutto in queste escursioni fuori confine. Il prodotto appare confuso, scisso, con un palato che cede a morbidosità quasi da residuo zuccherino. Aspetterei tempi migliori.
Fiano di Avellino
Le conferme:
Tenuta Sarno 1860: eleganza ma allo stesso tempo una ricchezza che, per l’annata, è quasi ai limiti dell’opulenza. Naso noccioloso, intriso di rimandi agrumati e minerali. Beva coerente, ingresso appena rotondo, poi si allunga in verticale sostenuto da una acidità molto ben lavorata. Saldo sapido.
Picariello: crudo ed agrumato, officinale e minerale in un caleidoscopico susseguirsi di sensazioni odorose. Il palato è teso, composto ma mai statico, giocato sulla costante tensione gustativa tra acidità e sapidità. Ricordi fumè chiudono un cerchio che rende questo vino una chiara manifestazione dei terroir di provenienza delle uve.
Pietracupa: nuovamente Sabino sul podio, questa volta con un fiano che è un tripudio floreale, impreziosito sì da rimandi minerali e fumè. Stupisce la linearità al palato, un sorso che viene giù come una spada, liscia ed affilata.
Colli di Lapio: naso aggraziato, delicatamente vegetale, officinale, finalmente fruttato di frutta a pasta bianca. Il palato incede con la medesima signorilità e compostezza, prolungandosi indefinitamente. Immancabile.
Villa Raiano Ventidue: torna l’areale di Lapio, nell’interpretazione di Villa Raiano… cambia la mano ma non la qualità del risultato; una chiave di lettura appena più ricca, ma sempre elegante, dinamica, mai doma. Ancora una volta il cru di Lapio si fa preferire a quello di Montefredane, in un derby in cui i veri vincitori sono i palati di chi beve.
Le sorprese:
Fonzone Caccese: avevo apprezzato anche il Greco, ma questo Fiano ha stupito per compiutezza e coerenza, tanto al naso, dove si offre generoso di frutta secca e fresca, quanto al palato, dove note gessose arricchiscono ulteriormente la beva. Cantina da seguire con interesse.
La novità:
Vigne Guadagno: decisamente la new entry più interessante secondo il mio giudizio! Gennaro Reale è dedito e scrupoloso, ma soprattutto sa far bene il suo lavoro e questa interpretazione del fiano Montefredanese è da manuale. Delicatamente minerale ed affumicato, note floreali e vegetali, interessante il saldo sapido che ne inspessisce la beva. E la collina di Montefredane si arricchisce di un nuovo player!
La perplessità:
Cantina del Barone Particella 928: è un po’ che mi capita di guardare con prevenuto sospetto le derive bio, soprattutto se finiscono per essere bio/chic. Non è questo il caso, ma mi è riuscito difficile interpretare questo vino come “senz’altro buono”… tutt’al più diverso, ma ad oggi questo non mi è più sufficiente. Sicuramente da riassaggiare vista la materia di buon potenziale.
Da spendere infine 2 parole su un’azienda che non è riuscita ad arrivare sul podio ma che si è piazzata a ridosso dei migliori con tutti i prodotti delle batterie: parlo di Pasqualino Di Prisco, la cui coerenza interpretativa è sempre encomiabile e la qualità finale una garanzia.