Parafrasando Guccini potremmo dire che sono ormai chiuse le osterie di fuori porta. Mica perché “la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta“, ma perché i tempi cambiano e le gestioni pure.
Chiudono le trattorie tuderti, spoletine, gualdesi, folignati, eugubine, quelle i cui proprietari facevano la spesa al mercato e dove potevi ordinare il giovedì, una lasciva porzione di trippa, il venerdì un piatto fumante di gnocchi e la domenica le tagliatelle con le rigaglie di pollo o piccione, con tanto di fegatini, cuore, cresta, bargigli, uova non nate e durello, non sia rinfacciato.
Oggi ci ha messo le mani la grande distribuzione. Ma chi di spada ferisce di spada perisce: presto chiuderanno (non ne faremo un dramma) le enotecucce dal tagliere facile. La ristorazione somiglia alla politica, che è preda facile per la satira. I tempi cambiano e la formula dell’intrattenimento mangereccio, in tutti i sensi, non è più la stessa perché a nessuno interessa l’originale, né a tavola né in parlamento.
C’è chi rinuncia alla stella Michelin per darsi al sushi, chi si converte alla pizza e birra (ci stanno sommergendo di birre artigianali) e chi rilancia vecchie rosticcerie guardandosi bene dal chiamarle con il loro nome, ci mancherebbe altro. Eppure i pollastri ruspanti sono diventati più rari dei dodo. I polli di batteria sono schierati sugli spiedi, girano nello stesso verso, si accompagnano ai soliti contorni, in Umbria come altrove. Speravamo che fosse il cambiamento dei costumi alimentari a decidere il futuro dell’offerta gastronomica. Pia illusione, i cuochi si fanno sempre più conformisti, refrattari alle disubbidienze ideologiche.
Anche la Coca Cola è stata costretta a cambiare la formula dopo 126 anni, per non essere additata come cancerogena, riducendo le percentuali di 4-methylimidazole presenti nei suoi coloranti. Negli anni degli imbrogli universali, dire la verità è come rifilare al sistema ipocrita che ci circonda un bel rutto fine pasto.
C’è confusione in cucina e casino nel piatto, dovunque lo si appoggi. La gente ha capito che una bistecca pompata con gli antibiotici, che abbiano tenuto in vita la vacca a tutti i costi, è nociva per la salute. Una volta le decisioni di governo, o antigovernative, erano decise davanti ad una tovaglia a quadretti e un fiasco di vino, poi qualcuno se n’è “andato per formarsi, chi per seguire la ragione, chi perché stanco di giocare, bere il vino, sputtanarsi ed è una morte un po’ peggiore“.
Accidenti come tornano utili certe canzoni. Siparietto. Abbiamo affrontato il tema della ragionevole convivenza tra i retaggi del passato e le attese verso il futuro. Non abbiamo scritto di cose mangerecce, come Arcimboldo non ha dipinto frutta. La paliata, il torcolo, la leccarda e il buon governo hanno chiuso i battenti, dentro e fuori porta. “Cadon come foglie o gli ubriachi sulle strade che hanno scelto/ delle rabbie antiche non rimane che una frase o qualche gesto“.
Che sia Tonno Nostromo o esecrabili pallate di sterco in Piazza Italia, quel che rimane è una chiara richiesta di cambiamento. “Si alza sempre lenta come un tempo l’alba magica in collina/ ma non provo più quando la guardo quello che provavo prima“. C’è bisogno di reinventare la politica, altro che affidarsi al fund raising o al food surfing.
Ci avete fatto caso che il fenomeno delle primarie porta sempre alla vittoria degli outsider? A patto che sul menù ci sia scritto che trattasi di candidati antipartito. “Ladri e profeti di futuro mi hanno portato via parecchio/ il giorno è sempre un po’ più oscuro, sarà forse perché è storia, sarà forse perchè invecchio...”
Foto: Giovanni Picuti