La piadinizzazione della torta al testo

La torta sul testo è un piatto povero della tradizione perugina (e non solo). I nomi variano in aree diverse della regione: crescia (attenzione a questo illuminante termine, ci torneremo sotto) sul panaro/panèo dalle parti di Gubbio, ciaccia a Città di Castello.

Si tratta di una semplice focaccia fatta con farina, acqua, sale ed un pizzico di bicarbonato, almeno nella sua versione-base. L’impasto viene cotto sul testo, riscaldato sul focolare: si tratta di una pietra refrattaria a forma rotonda; oggi esistono in commercio anche testi di ghisa, utilizzabili nelle cucine a gas.
Come cibo povero, la torta al testo aveva lo scopo di riempire la pancia degli affamati contadini, quindi era abbastanza spessa, almeno un paio di centimetri, per poter raccogliere sughi ed intingoli vari, tant’è che si sposa mirabilmente a polli e conigli all’arrabbiata (spezzatini che, nella variante perugina, prevedono l’uso del pomodoro).
Il benessere porta ad una certa evoluzione del gusto; così, quando la famiglia contadina ha a disposizione con una certa facilità gli insaccati del maiale, allevato e macellato in proprio, quasi sempre il prosciutto o la spalletta, la torta si “abbassa un po’”. Prima di allora in città si riusciva a farcire un filone di pane di un chilo con un etto di mortadella!
Così, di fatto, si vengono a codificare due tipi di torta, a seconda dello spessore e delle destinazioni d’uso. Con il passare del tempo, anche a causa di una massiccia commercializzazione dalle nostre parti della piadina romagnola, la nostra torta, per emulazione, si è quasi irreversibilmente abbassata, anche alle sagre ad essa dedicate nelle nostre zone.
Mi domando: evoluzione del gusto/concezione dinamica della tradizione o provincialismo cultural-gastronomico?
Walter Pilini si racconta…

Mi chiamo Walter Pilini ed è da un po’ che sono grande, anche se talvolta non me ne ricordo, ma forse il motivo è che faccio l’insegnante elementare e sto sempre in mezzo ai bambini.
Da molto tempo mi occupo di dialetto, cultura popolare e cultura materiale, in particolare di cibo. Permettetemi di sciorinare le mie competenze riguardo a quest’ultimo aspetto.
Intanto, possiedo una triplice competenza (e scusate se è poca cosa!): passiva, attiva e riflessiva, in quest’ultimo caso posso dire una metacompetenza. Passiva, in quanto mi ritengo una buona e raffinata forchetta; attiva, perché spesso cucino, più per piacere che per necessità; riflessiva, dal momento che mi piace parlare e scrivere di cibo.
Ma non basta: modestamente mi autoproclamo gastronomo, gastronauta e gastrosofo: Gastronomo, perché non posso che essere tale, se vogliamo usare parole grosse, “per statuto epistemologico”; gastronauta, poiché amo scorribandare per il territorio con un compagno di merende alla ricerca di cibo; gastrosofo perché sull’argomento amo cazzeggiare… E le mie gastrolalie ne renderanno puntualmente contro

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