
Non possiamo dire di averlo conosciuto bene né di aver frequentato troppo i suoi vini. Però quello con Domenico Clerico è stato uno degli incontri più belli del nostro percorso iniziatico nel mondo del vino.
Era la primavera del 2004. Noi giovani in tutti i sensi, un po’ increduli per quello che ci stava accadendo, bruciati dall’entusiasmo che solo gli esordi sanno regalare. Master al Gambero Rosso in tasca, cominciavamo a battere in lungo e in largo i territori italiani e francesi, bussando a quante più cantine possibili.
In quella di Clerico ci siamo finiti senza preavviso, o quasi. Domenico stava facendo assaggiare le ultime annate a un piccolo gruppo di importatori olandesi e tedeschi. Oltre ai bicchieri, nella sala degustazione brillava una bellissima Berkel rossa. Era molto indaffarato quel giorno ma l’attenzione dedicata a due giovani sbarbati, con nessun titolo ma vogliosi di imparare, fu commovente. Ci aveva preso in simpatia, come forse succede quando incontri due gattini bagnati e intimoriti per strada.
«Stasera andiamo a cena da Felicìn e voi venite con me». Non dimenticheremo mai quel gesto, la sala del mitico ristorante di Monforte d’Alba, la tavola imbandita e le bottiglie bendate di Barolo 1990, che via via ci sfilavano sotto il naso. Eravamo finiti, ancora oggi non sappiamo come e perché, in uno dei frequenti ritrovi dei soci di Langa In e solo anni dopo avremmo capito il valore della cosa. C’erano schierati al gran completo i titolari di aziende a dir poco sulla cresta dell’onda, come Conterno Fantino, Parusso, Chiara Boschis, Paolo Scavino e altri ancora. E il compito di scegliere e anonimizzare le bottiglie era affidato quella sera niente meno che a Giorgio Rivetti de La Spinetta.
Indipendentemente dall’idea che si può avere su questi produttori e i loro vini, parliamo di gente che ha scritto un capitolo a suo modo decisivo nella storia contemporanea del comparto. Noi eravamo lì, incapaci di intendere e di volere, come sotto oppio, e quelle star – perché tale era il loro status in quel periodo – incredibilmente ci riempivano il bicchiere e condividevano con noi le loro impressioni, incoraggiandoci a fare altrettanto.
Una compagnia allegra e rilassata, come raramente ci è capitato di ritrovare: sembravano amici prima che colleghi, e probabilmente lo erano. Una dozzina di assaggi almeno, discutevano tra loro senza filtri o giri di parole, e tantomeno ritrattazioni o inversioni a U quando dietro la stagnola si scoprivano nebbiolo di vignaioli presenti al tavolo non particolarmente apprezzati. Anzi, in qualche caso i critici più feroci erano proprio i loro stessi artefici: bellezza della “cieca”, ma soprattutto di una serata in cui tutti si divertivano, figuriamoci noi.
Quell’epoca è già storia. Come è normale che sia al centro di indagini, interpretazioni, contestazioni: ne abbiamo parlato tempo fa e non ci ripetiamo. Molte cose sono cambiate, per noi e per il settore che frequentiamo, e forse certe emozioni non le vivremo più. Di sicuro non con Domenico Clerico, purtroppo.
Grazie mille per averci regalato uno dei ricordi più belli della nostra “carriera” e quella bottiglia di Percristina ’99 che è giunto il momento di stappare.
Foto vinifera.it
Commovente! Bellissimo articolo e grande gesto di Clerico (che la terra gli sia lieve) e resto della truppa…
P.S: Grazie a dio questo spirito ancora esiste, ne ho avuto conferma la settimana scorsa in Irpinia, Raffaele Del Franco da Villa Raiano, Antico Castello, Raffaele Troisi, Gerardo Contrada ed altri hanno dato prova di cosa significhi la parola Ospitalità, questi atteggiamenti oltre a saper raccontare il territorio sono gli aspetti che rendono il piccolo-grande mondo del vino cosi speciale!