
Hanno decisamente fatto le cose in grande, Davide Bonucci e i suoi partner, per l’edizione 2016 di Sangiovese Purosangue *.
Successo che va ben oltre i soliti numeri riassuntivi: un ricchissimo programma articolato su 4 giorni pieni, con 120 aziende e oltre 300 vini in assaggio, circa 200 giornalisti e operatori coinvolti, laboratori, conferenze, cene tematiche, verticali esclusive, visite in cantina, i luoghi più suggestivi del Chiantishire come “albergo diffuso”. Senza contare le sezioni aperte al pubblico e le tante attività “laterali” rispetto al quartier generale della rassegna, ovvero i bastioni medievali della Fortezza Medicea di Siena, sede dell’Enoteca Italiana. Se non è “splendida cornice” quella, ditemi voi quale può esserlo.
Complimenti doverosi e sinceri agli organizzatori, dunque, che ci offrono la possibilità di una ricognizione ampia e trasversale su quello che storicamente è il vitigno a bacca rossa più coltivato in Italia. E che proprio per questo non consente generalizzazioni, senza contestualizzare di volta in volta le macro-aree, i distretti, i comuni e, in qualche caso, la singola vigna di provenienza. Un lavoro di molto facilitato dall’ordinamento dei campioni per regioni (Toscana, Romagna, Umbria) e zone, ravvicinate tra loro o distanti centinaia di chilometri, spesso imparagonabili per condizioni geoclimatiche e stili espressivi.
Ciononostante, un bilancio di massima sull’universo Sangiovese va quantomeno tentato periodicamente. La nutrita orizzontale senese, impreziosita dall’appendice dedicata alla vendemmia 2006, rafforza in tal senso tutta una serie di convinzioni. Il livello medio cresce inequivocabilmente, anno dopo anno, ma le punte “assolute” continuano ad essere tendenzialmente troppo poche, se pensiamo al numero di aziende impegnate sul vitigno. Resta ampio il gap col “mondo Nebbiolo” nelle vette di nitidezza e complessità aromatica, o di finezza gustativa e completezza d’insieme. E man mano che ci spostiamo verso la coda del “gruppone” aumentano esponenzialmente i Sangiovese olfattivamente imprecisi, chiusi o cupi, di beva ostica anche per effetto di scissioni acide, apporti alcolici brucianti, tannini a dir poco ruvidi, se non verdi o immaturi.
C’è un però grosso come una casa. Gli stessi vini, riassaggiati a tavola, generano spesso impressioni molto diverse. Come se quegli squilibri fossero pensati appositamente in funzione di certi piatti e prodotti, molti dei quali ricorrenti nell’offerta culinaria e gastronomica più popolare del Bel Paese. Istruzioni per l’uso valide per molte altre tipologie autoctone, ma nessun vino-vitigno come il Sangiovese mette in risalto la “fallibilità” dei più consolidati metodi di assaggio.
Sono tutto fuorché rossi da degustazione, insomma, e le indicazioni da panel vanno necessariamente tarate su altri tipi di controprove. Molte volte capaci di sovvertire ricordi e prospettive: le oscillazioni valutative si fanno più imprevedibili, e le stesse gerarchie vengono continuamente riscritte. Croce e delizia, perché quelli che legittimamente possono apparire limiti costitutivi coincidono in ultima analisi con quei caratteri a cui non vorremmo mai rinunciare.
Lo sappiamo, oggi è il tempo dei “segni d’aria”, se giochiamo con lo zodiaco enoico: bottiglie che provano a volare su atmosfere di grazia e leggerezza. Ma non si può chiedere di levitare a chi nasce e vive con testa e cuore profondamente ancorati al suolo. E’ toro, vergine e capricorno, il Sangiovese: offre e chiede concretezza materica e appoggi solidi come una tavola, appunto, in un movimento circolare da e verso la terra. Humus, sottobosco, radici, cortecce: non è un caso se certe timbriche ricorrono su interpretazioni geograficamente anche molto lontane. Quell’impronta geneticamente terrosa si manifesta sempre in qualche modo, a prescindere dalla sensibilità produttiva, e chi non la ama difficilmente li adotterà mai come opzione privilegiata.
Ecco perché a Sangiovese Purosangue abbiamo cercato più del solito una mediazione fra approcci spesso inconciliabili. Di modo che nella nostra “top ten” finale trovassero posto sia le bottiglie più performanti in assaggio secco, sia quelle che per noi esprimono il loro meglio con adeguato accompagnamento, carnivoro e non solo. A voi i nostri consigli per gli acquisti, divisi per zone:
Toscana – Chianti Classico
San Casciano in Val di Pesa
Villa del Cigliano – Chianti Classico 2013
Siamo nei pressi di San Casciano, sottozona piuttosto discussa in passato, forse meno considerata di altre ma vista sotto una nuova luce, oggi. Terra di confine, dolce, con buona presenza di argille e ciottoli. La mano di Niccolò Montecchi ne asseconda i tratti e li incanala in uno stile neoclassico. Il 2013 pare l’anno della consacrazione. Ho assaggiato più volte questo Chianti Classico e sono pronto a scommetterci. Rispetto all’estate scorsa sembra tuttavia in una fase di ripiegamento su se sé stesso e chiusura aromatica. Vino duro che ha bisogno di vetro ma lucente nei (timidi) profumi di fiori di campo, fragoline e mirtilli appena raccolti. La bocca è agile e succosa, con le rigidità del caso ma di sicuro avvenire. Ne riparliamo quando sboccerà di nuovo, magari nella prossima primavera. [Antonio]
Greve in Chianti, Lamole
I Fabbri – Chianti Classico 2014
Se non sai chi hai di fronte, parlare di vino può essere complicato. I riferimenti stilistici, estetici e filosofici sono oramai così tanti da rischiare l’incomprensione. Ecco un esempio emblematico: i vini di Lamole possono dividere, io li adoro, specie quando hanno la riuscita di questo 2014. Verticale ma non sferzante, è impossibile da confondere, alla cieca. Ha tutto quello che si richiede al “vin buon di Lamole”: profumi sfumati e ricchi di dettagli, intensamente floreali, ematici e ferrosi; bocca dai continui chiaroscuri, verticale e succosa, slanciata, salata, acida e minerale. Lo voglio! [Antonio]
Radda in Chianti
Val delle Corti – Chianti Classico 2014
Se c’è una zona del Chianti Classico che più di tutte sembra aver tratto vantaggio dal cosiddetto “riscaldamento globale”, quella è sicuramente Radda alta. E non è un caso che nelle ultime stagioni siano definitivamente emerse le qualità da “top player” dei sangiovese di Val delle Corti, coltivati tra i 420 e i 490 metri di altitudine su pendii marnoso-calcarei, ricchi di scheletro, esposti ad est. Percorso suggellato da un 2014 teoricamente “minore”, dato l’andamento freddo e piovoso dell’annata, e invece capace di convincere a pieno. Tra i migliori assaggi in assoluto a Siena grazie all’irresistibile tocco silvestre (resine, humus, oliva fresca), ma soprattutto al sorso essenziale, senza diventare sottrattivo, dolce di frutto, energico e succoso nello sviluppo. [Paolo]
Radda in Chianti
Istine – Chianti Classico 2014
Enfant prodige del vino chiantigiano, Angela Fronti è ormai una delle interpreti più apprezzate di tutta la denominazione. I vini mietono successi e la sua figura di vigneronne unisce. Le vigne sono in parcelle separate e ben distinte (una anche nel comune di Gaiole) ma tutte in alto e con suoli rocciosi. Il Chianti Classico 2014, ovviamente alla ricerca di piena definizione e armonia, promette bene. L’annata lo affila ancor di più, non avrà lo spessore e la profondità del millesimo precedente, ma il frutto è comunque dolce, seppur teso e fragrante. Vino giocoso, ancora duro e lievemente acerbo in bocca, più incline agli schiaffi che alle carezze. Da masochista, io apprezzo. [Antonio]
Radda in Chianti
Montevertine – Pian del Ciampolo 2014
Stavolta c’è voluta una seduta psichiatrica più lunga del solito per non essere sopraffatto dalla proverbiale e temibile sindrome del Pian del Ciampolo (link). Ma come si fa a non essere rapiti da un vino tanto delizioso? Come non concedergli la propria mente liberandola da qualsiasi steccato, inibizione o pregiudizio enoico? Davvero una bottiglia che vorrei avere sempre a portata di mano, ogni giorno e ogni ora. Inebriante coi suoi profumi di cantina, liberatorio nelle folate di prati in fiore e appetitoso nei rimandi di drogheria. Incredibile quanto succo ci sia in un corpo tanto snello e quanto la lunghezza non siderale sembri un pregio più che un difetto. [Antonio]
Castellina in Chianti
Villa Pomona – Chianti Classico 2014
Se avete in testa una certa idea del versante sud di Castellina (silhouette marcatamente mediterranea, frutto nero, intensità, maturità e tannino), state alla larga da Villa Pomona. Qui le coordinate stilistiche sono praticamente opposte. Anche nei casi più compiuti e nelle annate calde i sangiovese della casa sono verticali e affusolati, figuriamoci in un millesimo complicato come il 2014. Un vino che segnalo con le mille premesse ed indicazioni del caso, ideale però per chi cerca bottiglie gastronomiche, scacciapensieri e sbarazzine, ad alto tasso di digeribilità. Un gioco di piccoli frutti rossi non completamente maturi, gelée di lamponi e foglie di limone che si tuffano in un sorso sferzante, deliziosamente capriccioso e sfuggente. [Antonio]
Toscana – Montalcino
Corte dei Venti – Brunello di Montalcino ‘12
E’ un nome che da un biennio troviamo spesso citato alla voce “novità”, quando si parla di Montalcino. Definizione imprecisa, se consideriamo una storia produttiva risalente quantomeno agli anni ’80, tuttavia efficace per inquadrare lo stile espressivo dei sangiovese di Corte dei Venti. Sono rossi estremamente attuali nella loro ricerca di leggerezza aromatica e gustativa, a maggior ragione apprezzabile rispetto alla zona di provenienza: le terre rosse di Piancornello, pieno versante sud a ridosso dell’Amiata, fra i 100 e i 300 metri di altitudine. Coerenza interpretativa che si manifesta anche in una vendemmia calda, ma tutt’altro che lineare, come la 2012: piccoli frutti rossi, radici, caramelle balsamiche, svela una trama soffice e gustosa, con tannini già piuttosto integrati. Hypster wine. [Paolo]
Toscana – Montepulciano
Gracciano della Seta – Vino Nobile di Montepulciano ‘13
Il Nobile di Montepulciano è forse il sangiovese toscano che più di tutti ha bisogno di sostegno gastronomico per essere goduto e compreso al meglio. Le timbriche ombrose, i tannini spesso asciutti e mordenti, non è così facile distinguere tra liquidi irrimediabilmente ingolfati e vini solo bisognosi di pazienza. Mi pare che appartenga al secondo gruppo il Nobile ’13 di Gracciano della Seta: partenza timida, si intuisce un corredo più serio e profondo dietro le coloriture rosso-verdi, fruttate e vegetal-balsamiche. Dà l’idea di poter crescere soprattutto al gusto: c’è forza e tensione, varrà forse la pena aspettare che si plachi la vigorosa irruenza fenolica. [Paolo]
Toscana – Chiusi
Colle Santa Mustiola – Poggio ai Chiari ‘06
Si parla ancora troppo poco del lavoro portato avanti da Fabio Cenni a Colle Santa Mustiola da oltre un ventennio. Siamo nell’enclave di Chiusi, zona per molti versi a sé stante da un punto di vista storico, geologico e climatico. Vecchi cloni di sangiovese, un misto di sabbia, ciottoli ed argilla derivanti da depositi alluvionali e fondali marini, per vini dal passo lungo, espressivamente inconfondibili: un po’ l’anello di congiunzione tra Chianti Classico e Montalcino, senza assomigliare tuttavia né agli uni né agli altri. Carattere raccontato al meglio dalla versione ’06: ampio e sfumato fin dal primo impatto, le suggestioni salmastre e piccanti fanno da controcanto all’intreccio di more, mirtilli, poutpourri, eucalipto. Bocca fitta e slanciata, densa di sapore, trova ulteriore spinta e sostegno nella possente, e al tempo stesso raffinata, trama tannica. [Paolo]
Romagna – Castrocaro Terme
Marta Valpiani – Romagna Sangiovese Superiore ‘14
Per molti versi il vino della svolta nel breve ma intenso percorso umano e produttivo vissuto in questi ultimi anni da Elisa Mazzavillani, giovane vignaiola in quel di Castrocaro Terme. Unica etichetta realizzata nella difficile vendemmia (meno di 6.000 bottiglie da 10 ettari), il Marta Valpiani Rosso ’14 spiega ad alta voce che si possono fare, eccome, Sangiovese di Romagna così. Iris, viola mammola, petali di rosa, le timbriche floreali dominano al naso senza stancare, ampliandosi con gli apporti balsamici e speziati, e preparando alla leggerezza quasi efebica del sorso, non sprovvista di contrappunti. Un vino “pensato” nel senso migliore del termine: manca un plus di complessità e spalla, forse, ma la delicatezza estrattiva è quella di un’interprete sensibile e consapevole, che saprà stupirci ancora insistendo su questa strada. [Paolo]
Le Zone del Chianti Classico – Le Pagelle di Tipicamente
Nuovo gioco: i nostri voti a mo’ di pagella scolastica alle principali zone del Chianti Classico, tenendo conto delle indicazioni ricavate nelle varie occasioni di assaggio dell’ultimo biennio (visite, anteprime, retrospettive, orizzontali, tasting Guida). Voti di pancia, da bevitori, no massimi sistemi o pretenziose analisi tecniche.
San Casciano in Val di Pesa: 6,5
Greve in Chianti: 6-
Greve in Chianti – Lamole: 8,5
Greve in Chianti – Panzano: 4,5
Val d’Elsa: 8
Radda in Chianti: 10
Gaiole in Chianti: 7
Castellina in Chianti: 6
Castelnuovo Berardenga: 7-
Molto interessante, specialmente i voti alle varie aree. Sarebbe bello se potreste elaborare su questa parte. A prima vista un poco intenditore non comprerebbe niente di panzano e tutto di Radda 🙂
Ciao! Scusa la risposta tardiva. Credo non serva precisare che i voti sono un gioco fatto al momento, figlio delle suggestioni e degli assaggi degli ultimi anni più che di un’analisi delle reali potenzialità delle sottozone. Bisognerebbe anche approfondire meglio, per farne un metodo di giudizio serio (quale parte di Panzano, ad esempio? Conca d’oro o zone alte?) e quale di Radda? Per non dire di Gaiole che andrebbe divisa almeno in tre fasce? Badia o San Giusto? In generale, però, ci tenevamo ad elaborare un borsino sintetico e semplice di quello che stanno esprimendo i vari terroir del Chianti Classico. Un giudizio medio e grossolano che serve tuttavia a dare un’idea di dove vanno le nostre preferenze (e di contro le critiche) ultimamente. Grazie mille, saluti
Certo sono d’accordo, ero principalmente curioso di saperne di piu’ solla vostra opinione visto che di solito i giudizi che si trovano non sono cosi netti (sempre che si trovino). Comunque e’ ovvio che Radda stia avendo molto successo, saranno quei produttori che sono diventati molto bravi se non lo erano gia’, o delle annate particolarmente favorevoli ai vini delle zone piu’ alte come pure Lamole.
aggiungo solo che il giochino lo abbiamo fatto d’istinto, senza stare troppo a pensarci, non tanto come assaggiatori generici ma come compratori-bevitori. Cioè, dove vanno di preferenza i nostri soldini (pochi e sempre meno) quando ci mettiamo in cantina qualche boccia del Chianti Classico o ne ordiniamo al ristorante. E, appunto, Radda e Lamole stradominano negli acquisti (e sempre di più negli ultimi anni), mentre di Panzano avevo una nutrita rappresentanza nei primi anni 2000 e poi sempre meno (Le Cinciole a parte).
Il fatto è, per concludere, che da “critici” i giudizi devono essere obbligatoriamente ponderati e sfumati, da compratori con risorse limitate è giusto e normale che le valutazioni siano nette e perfino trancianti, proprio in ragione della “coperta corta”. Saluti. 🙂
Che bello vedervi dare valutazioni da compratori e non da critici! Spero continuerete ad usare questo approccio anche su altre zone.
P.S: Quel 7- a Castelnuovo, che tra le sue fila schiera pezzi da 90 come Castell’In Villa e Felsina e qualche outsider come Dievole e Pacina però mi sorprende e non poco. Sorge quindi spontanea la domanda, i vini delle suddette cantine li trovate poco interessanti o e il resto della produzione ad abbassare la media della zona fino a portarlo al 7-?
intanto grazie per l’incoraggiamento, Orion. 🙂
in quel 7- c’è molto della “delusione” di due felsiniani storici e quasi acritici, che faticano a ritrovare nelle ultime uscite quel che hanno amato visceralmente in tante annate di Rancia e Fontalloro. Varrà la pena di tornarci su, magari con un post apposito più strutturato ed argomentato. Saluti!