C’ho messo più del solito a metabolizzare l’ultimo BarDelli. O forse meno. Da una parte l’immediato godimento per una giornata perfetta, di quelle che vorresti non finissero mai; dall’altra, forse proprio per questo naturale e istintivo piacere, la difficoltà di trasposizione e racconto dell’accaduto.
So già che sarà impossibile, questo è il punto. Che le mie limitate capacità non basteranno e difficilmente riuscirò a trasmettere anche solo una goccia di quel mare, articolato, variopinto e complesso come poche altra volte è stato.
Il BarDelli, circo Barnum itinerante e sregolato, non – luogo che trova sostanza e materia quando meno te lo aspetti, bosco popolato da strani esemplari, ricco di cibi, erbe, fiori magici e linfe idroalcoliche, fa segnare una tappa memorabile del suo irrazionale girovagare.
Fermata inaspettata, calata come un asso dal grande burattinaio, capace come al solito di generare domande dalle risposte impossibili. A cominciare dal titolo, GAME OVER, che riassume, evoca a sé e respinge in infiniti rimandi il tema scelto per l’occasione: la caccia.
Al solito il BarDelli non è mai quel che sembra. Il politicamente scorretto, che pure non manca, si trasforma quasi sempre in filosofia dell’essere, profonda e atavica, che si prende gioco dell’apparire, dell’effimero comune sentire. Banale, incapace di penetrare la superficie, di una morale allargata che non può bastare.
Dunque alla larga. Tu che fai la rivoluzione per l’uccisione di un tordo ma trovi normale compare polli che hanno vissuto la loro vita in pochi centimetri quadrati. Parliamo lingue diverse. Ti rispetto ma non ti comprendo. Sono disposto ad approfondire la cosa, ovviamente, ma non qui e ora. Magari davanti a una passata di rape rosse.
Un BarDelli perfetto è figlio di tanti elementi che si combinano. L’idea, anzitutto, la costruzione di un percorso, certamente il caso, ovviamente le persone e il luogo.
Ecco. Stavolta l’idea, il luogo e le persone hanno dato vita ad una simbiosi perfetta. Aggiungerei che anche il clima ci ha messo del suo. Con le nuvole giuste e la foschia che ha imbiancato l’aria, contribuendo allo sfondo ideale, graffiato da rami neri, spogli di foglie colorate che hanno fatto da tappeto. Certo, se un pranzo dedicato alla caccia si fa in un ristorante che si chiama Il Capanno, le probabilità di successo si impennano.
Il Capanno non solo ha ospitato ma ha creato, passo passo, tassello dopo tassello, l’appuntamento. Con cura maniacale per i dettagli e un impegno entusiasmante. Fuori i nomi. Mauro Rastelli e la sua famiglia allargata ci hanno regalato una domenica memorabile. Ho pensato spesso di scrivere di questo posto ma stranamente non l’ho mai fatto. Aspettavo qualcosa di speciale. Solo ora mi rendo conto che non ce n’era bisogno. Perchè Il Capanno speciale lo è sempre, ogni giorno.
Detto questo, non si può non riconoscere alla cucina, che ha si beneficiato della salita sul colle di un grande chef come Marco Gubbiotti, la realizzazione di un percorso strabiliante. In cima alle mie personali preferenze e tra i BarDelli di sempre.
Al solito, passo dunque al foto-racconto di Pier Paolo Metelli, senza filtri né orpelli linguistici. Aggiungendo solo che avremmo potuto mangiarci un orso intero o gli aculei di un istrice, ma che alla fine del pasto non saremmo riusciti a spiluccare neppure un fringuello. E che il piatto della giornata, anzi per me forse il piatto dell’anno è un incredibile risotto di beccaccia *. Testa, pancia, cuore. Storia e Geografia. Chapeau.
I vini di giornata. Il tema individuato era BOR, che stava per BORdeaux e BORgogna (deroga solo per il solito aperitivo a base di Giulio Ferrari 2002 e per un Krug d’intermezzo). Nella missiva in cui si invitava a portare la classica bottiglia a testa, il cerimoniere ha scritto: “no produttori emergenti, annate minori o vini base“. Mi pare sia stato accontentato.
Ecco a voi l’eno-racconto di Paolo De Cristofaro in wine-tweet
Krug Grande Cuvée Brut – Krug
Avercene.
Montrachet 2009 – Ramonet
Si è molto alleggerito rispetto all’uscita, l’annata calda e il legno si sentono solo con l’ossigeno e con l’aumento della temperatura. Rispetto al 2008 manca l’ultima parte di spinta e freschezza, ma livello all’altezza del blasone. 93/100+
Bienvenues-Batard-Montrachet 2002 – Carillon Louis et Fils
Grandissima bottiglia, in perfetta forma: minerale, gessoso, luminoso, energia ed eleganza nel sorso, con legno impercettibile, lungo. 94/100+
Bonnes-Mares 2007 – Roumier
Forza notevole per essere un 2007, sconta qualcosa in termini di brillantezza e armonia gustativa, ma è senza dubbio uno dei migliori dell’annata assaggiati finora. 92/100
Clos de la Roche 2005 – Armand Rousseau
Giovanissimo ma stratificato, potente e leggiadro allo stesso tempo, tra i più goduriosi e tesi, da bere e ribere. 93/100
Clos de la Roche 2002 – Louis Rémy
Nebbiolesco, un po’ cupo aromaticamente e rustico nei tannini. Compensa con fascino old style. 89/100
Clos de la Roche 2002 – Armand Rousseau
Meno ciccia rispetto al 2005 ma identico carisma, tanto agrume e la classica mineralità quasi pirica del cru: un momento perfetto per stapparlo. 92/100
Clos de Lambrays 2002 – Domaine de Lambrays
Un classico Lambrays di annata giusta, delicato e teso senza diventare mai troppo algido. Vino sottrattivo, con dettagli da andare a cercare. 90/100
Clos de Tart 2000 – Clos de Tart
La Borgogna d’antan come ci piace, terroso e profondo, con tocchi quasi di selvaggina. Peso medio ma armonia e souplesse. 92/100+
Haut Brion 2000
La bottiglia del giorno, senza alcun dubbio. Tridimensionale, carico di frutto e di sfumature, materia impressionante incanalata in un binario di leggerezza e sapore, potenzialmente eterno. 98/100
La Mission Haut Brion 2000
Deludente, naso riduttivo e scuro, fa quasi, legno bruciacchiato, tannino gallico. Probabile bottiglia sfortunata. S.v.
Clos de Vougeot 1999 – Raphet
Arioso e complesso, balsamico e molto saporito, solo in apparenza scarno, spinge fino alla fine con tessitura sapida e tensione verticale. 91/100+
Chambertin Clos de Bèze 1998 – Armand Rousseau
Tanto fascino ma vino maturo e stretto, sia aromaticamente che nel sorso. Annata molto difficile, nemmeno Armando è riuscito a fare il miracolo. 86/100
Chateau Latour 1998
Ancora indietro o versione “soltanto” buona? Nero-verde potente ma forse un po’ monolitico, bocca dura e arrabbiata, con tanta energia. 93/100-
Chateau Latour 1997
Annata “piccola” che si sente nelle note erbacee e nel frutto rosso scarico, ma soprattutto nel sorso un po’ troppo sbrigativo e crudo. 87/100
Gevrey-Chambertin 1er cru Clos St Jacques 1996 – Armand Rousseau
Si conferma un bellissimo, classico, ’96, col suo profilo elegantemente autunnale, tutto bosco, arbusti, resine ed erbe. Fredda ed austera anche la bocca, continua a mancare quella dolce piacevolezza di annate più equilibrate ma sta perdendo anche quel po’ di frutto che aveva. Motivo per cui alla fine mi piaceva di più qualche anno fa, quando era tutto sommato più gioioso. 94/100
Chateau Lafleur 1995
Uno dei vini della giornata: integro, polposo, avvolgente ma sempre composto e puntualissimo nell’estrazione. Quadratura del cerchio. 95/100
Chambertin 1989 – Trapet
Ha superato il momento ideale di beva, il naso resta un po’ confuso con note di salsa di pomodoro, bocca procede a strappi, con tannino polveroso. 85/100
Chateau Haut Brion 1986 – Haut Brion
Si conferma una riuscita minore, sia in verticale che in orizzontale. Evoluzione di note erbacee, tocchi di verdura, bocca troppo leggera e insipida. 87/100
Cheval Blanc 1986
Forte riduzione funginea, quel verde bordolese che sembra tappo, bocca piuttosto scarna e cruda, non lascia una grande impressione. 89/100
L’invito del BarDelli Game Over: cartucce contenenti la pergamena che vedete nella foto di testa. Ognuna è stata “personalizzata” da un colpo di fucile che ha disegnato una trama originale di fori sulla carta
* La ricetta del Risotto di Beccaccia
Fare un salmí di beccaccia, disossarla avendo cura di lasciare i petti interi a parte.
Tostare il riso con la cipolla e bagnare con poco vino bianco secco e a bassa gradazione alcolica. Quindi aggiungere il fondo di cottura della beccaccia e la sua polpa. Aggiungere un leggero brodo vegetale fino a metà cottura. Mantecare poi con olio EVO e poco parmigiano. Finire con il petto scaloppato in presentazione del piatto
BarDelli Game Over!
Eccoci di nuovo tutti
al cospetto del BarDelli.
Oramai noi siamo quelli
che raccolgono suoi frutti
di sfrenata fantasia,
che ci porta dallo spazio (tema dell’anno passato)
fin quassù, novella ratio,
per riunirci in compagnia.
Già le stelle son cadute,
di cui una con il botto:
un boccione venne rotto
con delizie sue perdute!
Ma la fine sua meschina
fe’ pensare al sacrificio,
che abbattuto in santo ufficio
ci portò alla selvaggina.
Ecco il tema di quest’anno:
nel locale di Mauretto
egli interprete perfetto
ci delizia qui al Capanno.
Orso? Daino? Cerbiatto?
Dunque il gioco principale:
chi riesce a indovinare
cosa ci sarà nel piatto.
Mentre invece per il BER?
Di Bordeaux e di Borgogna.
Guai nessun faccia vergogna;
altrimenti GAME OVER!
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Per chiudere
Somiglia ad un rito solstiziale
l’annuo ricco convivio di Baldelli,
i cui ingredienti non son sempre quelli
ed ogni volta fa meravigliare.
L’orgoglio di far parte di un’elit(te)
ci spinge tanto ad esser generosi,
quanto per voi pazienti e affettuosi,
a sopportar le mie parole scritte.
Stavolta vi prometto d’esser breve.
Ancor di più, grazioso fu il destino,
godendo sia di un gran magnà che beve,
impreziosito da pregiato vino.
E’ stato un giorno ‘sì come si deve;
per chi è mancato è proprio un gran casino.
Daniele Falchi, Dicembre 2014