E giungemmo così alla quindicesima estate da guidaioli, absit iniuria verbis.
Invochiamo la clemenza della corte, vostro onore: siamo ancora quelli degli 80 vini al giorno, le degustazioni alla cieca e la fabbrica di schede. Brutti, sporchi e spietati elargitori di punteggi a cui nessuno bada più, dicono. Finiti in un battibaleno dalle stelle alle stalle nell’immaginario enosocial, al più tollerati come certi parenti alle feste comandate.
Rei confessi, sì, ma orgogliosi. In primis perché non è così facile come sembra dare forma ogni anno ad un tomo di quasi 1.000 pagine e poco meno di 2.500 aziende recensite, ripartendo tutte le volte da zero. Contribuire a questo ci piace, farlo all’interno di una squadra ci piace ancora di più.
In secondo luogo perché siamo pienamente consapevoli del valore formativo e didattico che si accompagna a questo tipo di lavoro. Una finestra privilegiata, che permette di aggiornarci con regolarità sulle zone seguite, ricavandone una visione d’insieme difficilmente alimentabile con le sole fiere, anteprime, serate o visite in cantina.
RDM 2015: la migliore batteria di sempre
Per l’edizione 2018 di Vini d’Italia, la numero 31 firmata Gambero Rosso, ripartiamo come di consueto da Montalcino. Ospitati nella nuova suggestiva sede del Consorzio (sempre grazie per il fondamentale supporto) e capitanati dalla co-curatrice Laleo Guerini (e dall’insostituibile Rumo), usciamo dalla prima sessione annuale con ottime sensazioni. E una “notizia”: per una volta il magico mondo del Brunello si fa quasi rubare la scena dal suo presunto fratello minore. “La migliore batteria di sempre per i Rosso di Montalcino”, potrebbe essere il titolo riassuntivo.
Golosi, saporiti, energetici. Merito di una vendemmia particolarmente felice per la tipologia come la 2015, tanto per cominciare. Grande millesimo in duplice accezione: livello medio decisamente superiore a quello emerso in tutte le precedenti ricognizioni e ampia disponibilità di “punte” fruibili nel breve e lungo termine. Si fatica a trovarne uno davvero cattivo e credeteci sulla parola se vi diciamo che appena un lustro fa non era esattamente così. Non solo. Le migliori riuscite coprono una rosa piuttosto variegata di stili, settori territoriali, tipologie aziendali. Un exploit a tutto tondo, insomma, pronosticato e auspicato da qualche stagione più sulla base di qualche bella giocata individuale che per le performance collettive.
Siamo ragionevolmente convinti che in futuro si citerà questa 2015 come annata simbolica nella storia del Rosso di Montalcino. Virtuale spartiacque tra un prima vissuto quasi da surrogato, se non proprio da scarto di lavorazione; e un dopo pensato a monte per dare forma a qualcosa di diverso, con una sua specifica identità, senza ansie di assomigliare o paragonarsi a niente.
Montalcino wasn’t built in a day
Naturalmente non è accaduto dalla sera alla mattina. Un’onda lunga che arriva da lontano e aveva già mostrato segnali importanti con la vendemmia 2009. Emblematica anche quella, col senno di poi: forse la prima in cui il confronto diretto tra Brunello e Rosso pari millesimo delle stesse aziende finisce spesso per premiare la tipologia sulla carta più semplice. Sotto vari parametri: integrità, brillantezza fruttata, incisività di beva, armonia complessiva. Là dove il vino principe di Montalcino resta quasi sempre riferimento imprescindibile per chi cerca un plus di maturità aromatica, materia, calore.
Ma ha davvero poco senso paragonare due interpretazioni concettualmente così diverse del sangiovese ilcinese, che potrebbero sfruttare ancora meglio la loro virtuosa complementarietà. Perché le annate non sono tutte uguali e in alcune occasioni può succedere eccome che il lungo affinamento previsto dal disciplinare si riveli sfibrante per vini invece pienamente centrati se colti in fase giovanile.
Il Rosso di Montalcino “buono” come partner perfetto, nella sua vocazione contemporanea, del più “ottocentesco” Brunello. Che deve molto del mito e prestigio internazionale proprio ai famosi cinque anni di invecchiamento obbligatorio, come nessun altro rosso italiano. Non serve un mago per immaginare che sarebbe più controproducente che utile mettere mano ad un fattore tanto caratterizzante della sua espressività e del suo carisma. Varrebbe invece la pena, forse, equilibrare maggiormente le partite destinate all’una e all’altra Dop in funzione del millesimo.
Stando infatti ai dati più recenti, per ogni bottiglia di Rosso ce ne sono quasi tre di Brunello, mentre il rapporto è di 1 a 4 per quanto riguarda le superfici registrate (circa 500 ha iscritti all’albo del Rosso, oltre 2.000 a quello del Brunello). Non ci sfuggono ovviamente le motivazioni commerciali, ma nemmeno i vantaggi sul lungo periodo derivanti da una piramide più “normale”.
A maggior ragione oggi che, come detto, aumenta di stagione in stagione la schiera di Rosso gastronomici e versatili. Non più “piccoli Brunello”, come per anni sono stati banalizzati, ma vini autorevoli e completi. Ne faremo abbondante scorta, approfittando di questa radiosa 2015 e dandovi appuntamento alla seconda metà di ottobre, con l’uscita della Guida, per rivelarvi i nostri prediletti.